“SE HAI UN SOLO DENTE IN BOCCA, USA QUELLO PER SORRIDERE” – proverbio africano

“Ci hanno rapito, dicevano che ci avrebbero ucciso se fossimo fuggiti. Solo il giorno dopo ci hanno dato un po’ di cibo e ci hanno detto che era per darci la forza per continuare a camminare. A un certo punto ci hanno portato a un grande campo dove c’erano già molti altri che erano stati rapiti. Lì venivano reclutati per l’esercito ribelle, io sono stato scelto. Allora mi hanno frustato 15 volte come segno che ero stato preso per essere soldato. Dopo avermi picchiato mi hanno dato l’uniforme, poi mi hanno portato in un’altra zona, mi hanno detto che dovevo rubare e rapire altra gente. Mi hanno detto di picchiare tutti quelli che rifiutavano di essere portati via dal villaggio.”

A raccontare la sua triste storia è Charles, un ex bambino-soldato costretto a fare i conti con una realtà e un passato più crudi di quanto si possa immaginare. “Poi un giorno mi hanno chiesto di uccidere un mio amico, come esempio per chiunque avesse tentato di scappare.” Continua a parlare nel video che lo ritrae tra un’occhiata bassa e laconiche pause. “Mi hanno detto che se mi rifiutavo mi avrebbero ucciso. Ho dovuto prendere il bastone e ammazzare il mio amico. E poi altre persone. Adesso sempre incubi e brutti sogni. I primi giorni continuavo a sognare che mi davano sempre più persone da uccidere e anche adesso che sono qui di notte mi sveglio gridando, perché quelli che ho ucciso mi appaiono in sogno.” Parla a tratti Charles. La sua infanzia è fin troppo differente da quella di ognuno di noi. Nessun gioco, nessuna istruzione, nessuna passeggiata al parco, nessun pasto puntuale, sereno; nessuna casa ove dipingere di chiara ingenuità le pareti e le proprie giornate. Nascere nel luogo sbagliato, questa l’unica “colpa” dei 250.000 bambini-soldato obbligati a convivere a soli 8, 9, 14 anni, con l’arma da fuoco in spalla.

Ma quella di Charles non è che la tragica storia che fa capo a un migliaio di storie. Basta navigare su Internet per pochi minuti per trovarne altre, tutte accomunate dalla stessa cattiva sorte, da un destino amaro imbevuto di dolore, violenza, sangue e traumi invalicabili.

“Ogni volta che dovevo combattere mi preparava: mi dava la medicina, a volte erano pastiglie blu, altre volte mi faceva dei tagli vicino le tempie o sulle guance e ci metteva una polvere marrone o bianca, così io non avevo più paura. Non avevo paura di niente. Sapevo che potevo fare tutto. Nel bush più ammazzi, più sei degno di rispetto.”  Racconta Lee, sdraiato a pancia sotto su un tronco d’albero scosceso. “Più ammazzi, più sei degno di rispetto”: la legge dell’anti-inferno dell’Est l’ha fatto suo schiavo. In un mondo al contrario, in un paradosso reale, in un continuo pulsare di sangue amico, la realtà si rovescia, perde cognizione di ogni cosa. Ogni fibra del tuo corpo detta la stessa legge che ti hanno agganciato al cervello, con la forza, con la frusta, con l’umiliazione e la minaccia. Tutto da paradosso comincia ad apparire normale, perché nella norma di quel luogo; perché quando ti ritrovi la morte a due centimetri da te, l’unica cosa che ti è stata insegnata è premere il grilletto.

E così ruota, ancora, il mondo, tra normalità e paradosso, tra paradosso e normalità. E così ruota, ancora. Nauseabondo.

Sequestrati, schiavizzati, picchiati, drogati, addestrati a fugare la morte imponendola ad altri. Perfino a un amico. E vederlo ancora, ogni notte, ricomparire nel sonno. Saltare la fase della paura del buio e dei mostri cattivi sotto il letto, perché un letto non ce l’hai, perché è buio anche quando splende il sole. Perché se non hai paura di un fucile, puoi solo aver paura di una coscienza che non smetterà mai di bussare forte alla tua porta.

Eppure a noi – noi generazione incontentabile, insoddisfatta, frustrata da un futuro-che-non-c’è – a noi, miei cari lettori, sì, a noi basta il calare del crepuscolo per alleviare la fatica della nostra giornata: i nostri nervi si rilassano, il nostro corpo si riscalda, la nostra mente scende nell’onirico e nulla ci tocca più. E semmai un incubo ci scuote e ci sveglia di soprassalto tra le calde coperte, occorrono solo pochi minuti per renderci coscienti di essere a casa, nella nostra casa, nella nostra camera dipinta come piace a noi, nel nostro letto comodo e pulito. Siamo al sicuro. Non siamo soli. Anche quando la solitudine sembra essere la sola sensazione che ci scorta costantemente, non siamo soli. E’ Charles il sacerdote della solitudine, è Charles il bambino che a soli dieci anni ha imparato a badare a se stesso e al terrore della morte, a fare i conti con un passato sempre all’erta. E accanto a lui c’è Lee. E accanto a Lee ce ne sono migliaia.

Eppure stanno ancora in piedi, come eroi, a raccontare la loro triste storia, pronti ad andare avanti, a marciare, combattere per la propria stessa vita; e ci si chiede il perché tutto questo, perché? E’ questa la domanda. Perché continuare a lottare per la vita? Qual è il fine? E il vostro, cari lettori, qual è il vostro perché? Desiderate laurearvi? Trovare impiego? Sposarvi? Comprare casa? Avere figli? Tre o quattro? Nome italiano o meglio un Kevin? Pareti avorio o ecrù? Fine settimana alla terme o settimana bianca a Cortina? Meglio lasciarlo dalla nonna o chiamare la baby-sitter? Beagle o chihuahua per borsetta? Aspetto-gli-sconti o lo-voglio-mettere-stasera? Quante idee in un mondo globalizzato che ci imbottisce costantemente di novità, di ambizione, di continuo irrefrenabile desiderio di ottenere. Esatto, ottenere, parola-chiave che si fa padrona superba dei paesi in via di sviluppo. E poi c’è Charles dall’altra parte, con il suo perché, con un perché che vale un mondo intero: per vivere. Vivere per vivere. Per respirare, per camminare, per avere ancora un cervello con cui pensare: io voglio vivere.

Nessuno  laggiù è disposto a porgere orecchio alla loro vulnerabilità cresciuta solitaria, sta a noi renderci complici di ogni loro giorno di vita, dare ascolto alle loro  storie, renderci coscienti nel vero senso della parola che dall’altra parte, aldilà dello Spread, della Spending Review, dell’Imu, del Bunga Bunga, del Grillo e del Renzi, c’è un Mondo che cade a pezzi, tra Vita calpestata di ieri e un Futuro assente di Domani.

Facciamo dunque un’ora al giorno di Educazione alla vita. E se questo non porterà in salvo nessun bambino-soldato, ci insegnerà per lo meno una nuova prospettiva con cui guardare con orgoglio, positività e sana consapevolezza ciò che ci appartiene.

 

 

Graziana Solano

 

 

 

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